giuseppe di faustino
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Inviato: Mar 28 Gen 2014 12:51 Oggetto: Angelo di morte - Giuseppe Di Faustino |
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Un sudicio angolo della metro, stretto tra due distributori automatici nel grande atrio della stazione 26, poco prima dei tornelli che garantivano l’accesso ai binari; era quello il suo lercio luogo di lavoro nonché residenza durante i freddi mesi invernali. Niente era mai stato facile nella sua vita. Anche quello spazio di puro lordume, fatto di stracci e cartoni odoranti alcool, urina e feci, gli era costato fatica. Aveva dovuto strapparlo al precedente proprietario, con la forza, con dura violenza. Se la vodka e le droghe sintetiche lo avevano oramai privato della maggior parte dei suoi ricordi, non avevano però ancora potuto intaccare del tutto la memoria di quel giorno, quello in cui era nato a nuova vita, ribellandosi al suo essere remissivo.
Fuori, quella sera, faceva freddo, troppo. Vento gelido sferzava le strade, nevischio ghiacciato pungeva la pelle, alito fetido congelava sulla barba incolta. Anche la metro era fredda, ma quelle macchine, quei distributori di bevande no. Diffondevano il loro tepore attraverso le lamiere. Voleva solo sedersi per una notte, per quella notte, nulla di più. Cercò silenzioso un piccolo pezzo di rifugio. Lo sconosciuto grugnì un diniego, scalciò. Lui reagì con una spinta, un’altra e poi ancora un’altra. Altri calci; poi il suo abbraccio, forte e letale. Una lotta muta, con spettatori ciechi. Sapeva che non doveva preoccuparsi di quella interminabile fila di stronzi che, come formiche, transitavano indaffarati in quei corridoi con il loro carico di indifferenza. Nessuno si sarebbe curato di loro. Da tempo erano stati defecati dalla società. Sistemò il cadavere in posizione fetale, coprendone il volto con un pezzo di cartone. Se ne sarebbe disfatto più tardi, trascinandolo in uno dei tanti reconditi anfratti che quella interminabile rete di gallerie custodiva. I topi avrebbero fatto il resto, lavorando per lui. Ora aveva altro a cui pensare. Aveva conquistato un nuovo regno. Tirò giù il cappello e cominciò ad elemosinare, donando falsi sorrisi in cambio di poche monete. Lo scambio era equo.
Erano trascorsi cinque anni. Da allora nessuno aveva osato insidiarlo e pochi ricordavano il suo vero nome, Angelo. Ora era conosciuto come il duro, rispettato e temuto da tutti i senza tetto del quartiere. Come tutte le mattine sistemò a terra il suo cuscino di stoffa logora e si inginocchiò, spalle ai due distributori, con la testa china, allungando un cappello tra la folla che scorreva veloce verso la banchina. Uno stridio annunciò l’arrivo del treno. Raccolse allora rapido gli spiccioli e si preparò al fiume umano che dopo poco sarebbe transitato in senso inverso. Il convoglio rallentò fino a fermarsi ed un sibilo deciso di aria compressa accompagnò l’apertura delle porte. Poi voci insolite rimbombarono nell’atrio.
-Che cazzo fate?
-Aiuto, aiutatemi!
-Piano! Non spingete! Piano, piano! Ci sono dei bambini!
Una rissa, si una rissa. Si alzò, strisciando veloce e silenzioso sotto uno dei cancelli di vetro. In quella confusione sapeva che sarebbe stato facile rubare un portafogli o uno smartphone. Poi sarebbe andato subito da padre Costello, a confessarsi. Ci teneva a mondare la sua anima... |
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